PD, chi non è in regola non può essere ricandidato

«Ora basta, chi non è in regola non può essere ricandidato» (intervista da Il Mattino del 21 luglio 2016)

«Chi non è in regola con i pagamenti è incandidabile. Lo dice il codice etico del Pd».

Il consigliere regionale del Pd, Antonio Marciano, liquida così il caso del mancato versamento delle quote da parte di alcuni esponenti del partito.

«E un gesto rivoluzionario di trasparenza – afferma – deve essere fatto, indicando sul sito delle federazioni provinciali chi sono gli eletti che effettuano i versamenti e chi no».

Marciano, al di là delle questioni economiche, la chiusura di tante sedi locali sembra il segnale di uno scollamento sempre più evidente tra Pd e territorio.

«La chiusura dei circoli è una rappresentazione plastica dell’assenza di un progetto politico. Ed è un esempio della malattia profonda del Pd. Mi è capitato tante volte di occuparmi di vertenze industriali importanti, come la Whirlpool. Ed è stato paradossale non poterne parlare a Barra o a Ponticelli. Questo è tipico di un modello organizzativo che tende a escludere e non a includere, in cui se non sei in un rapporto di prossimità con un amministratore locale o con un segretario di circolo, non ti fanno nemmeno parlare. In tante realtà ci arrivo solo per la mia funzione istituzionale, ma mai invitato dal mio partito. E la vicenda dei circoli investe soprattutto la dimensione etica del Pd».

A che cosa si riferisce?

«Le faccio un esempio. Una volta, se si veniva nominati in una società partecipata per conto del partito, si versava una quota al partito stesso perché il vincolo era con la comunità. Oggi, invece, il vincolo è con le componenti e non più con l’organizzazione politica. È un caso di degenerazione».

Molti parlano del circolo come un fenomeno superato…

«Non è così. I circoli sono l’ossatura di un grande partito di massa. Sono i luoghi in cui si rappresentano bisogni, sofferenze e proposte politiche. Noi non siamo il M5S. Abbiamo bisogno di fisicità. Un gruppo dirigente che si rispetti dovrebbe avere una cura spasmodica per un circolo territoriale. E, invece, i circoli sono ridotti a comitati elettorali. Tante sedi non riescono a produrre una sola iniziativa pubblica ma diventano importanti solo m occasione delle elezioni. E, se l’affitto pagato dall’eletto diventa il sostegno ad una proprietà privata, anziché al partito, allora è un altro elemento di degenerazione. Tutti questi sono alcuni esempi del fallimento di un progetto politico».

Però emerge chiaramente la questione dei costi di gestione. I vertici provinciali propongono una sede in ogni municipalità.

«A Napoli dobbiamo fare dei coordinamenti politici nelle municipalità, non rinunciando all’ambizione di avere un circolo in ogni quartiere. Non possiamo delegare tutto alla parrocchia. In ogni quartiere deve esserci un’organizzazione politica. Nel Pd si impone una rivoluzione. Eppure, a un mese e mezzo dalle comunali, i vertici provinciali – l’epicentro del disastro elettorale – non hanno ancora avuto ancora il tempo di discutere della sconfitta. È sconcertante e offensivo per quanti sperano che il Pd voglia finalmente iniziare a fare il Pd».

Un progetto che non è mai partito?

«Esatto. Abbiamo consumato 5 segretari e 2 commissari in 9 anni. Un segnale del fallimento. Serve una svolta con gruppi dirigenti autorevoli e scelti sulla base del merito, anziché dell’affiliazione napoletana o romana. Intanto cominciamo da un segnale rivoluzionario. Pubblichiamo sul web gli elenchi di chi versa le quote. E i tanti parlamentari di altre regioni eletti in Campania le versano le quote?».

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